Omaggio ad Ermanno Olmi, Presidente Onorario LUBERG

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Il Professor Franco Brevini, Presidente della giuria del Concorso Letterario LUBERG, ha voluto omaggiare con un ricordo profondo e vero il regista Ermanno Olmi, tanto caro all’Associazione LUBERG essendo stato Presidente Onorario, nonché Presidente di giuria della prima edizione del Concorso Letterario LUBERG.

Nel 1978, quando uscì l’Albero degli zoccoli, con i suoi lunghi dialoghi in bergamasco, la poesia neodialettale stava vivendo una fase di impetuosa riscossa. All’inizio degli anni Settanta avevano esordito i protagonisti della nuova stagione letteraria, che avrebbe procurato al Novecento alcune delle più memorabili raccolte: nel 1972 erano usciti I bu di Guerra; nel 1973 I cart di Loi, Curtelle a lu sòue di Pierro, E per un frutto piace tutto un orto di Scataglini, Stricarm’ in d’na parola di Zavattini; nel 1974 Come se. Infralogie di Calzavara; nel 1975 Al progni sérbi di Baldassari, Stròlegh di Loi, La nuova gioventù di Pasolini, Al vòusi di Pedretti; nel 1976 E’ solitèri di Baldini; nel 1977 Poesie in friulano di De Gironcoli, Tiare pesante di Giacomini, Te fugh de mi paèis di Pedretti, Com’agghi’ ‘a fè? di Pierro, So’ rimaso la spina di Scataglini. Largamente ellittico, questo breve elenco mostra come i tempi fossero maturi anche per uno squisito esercizio come quello bergamasco di Olmi, dove il genere più aristocratico della lirica tentava un incontro con il genere più popolare del cinema. Perché, nonostante il sapore crudamente verista, dietro quell’affiorare di roche vocalità nel parlato del grande schermo non possiamo fare a meno di riconoscere il delinearsi di una raffinata, dolente partitura elegiaca nutrita dal turbato urgere della memoria, che sarebbe piaciuta a Pasolini. La stessa appunto che dettava i versi della lirica neodialettale, postumi rispetto alla contemporanea dialettofonia sempre più inquinata e assediata e, come il film di Olmi, testimoni di una sacralità della vita, di cui il mondo di oggi non sa più che fare.

Olmi se ne è andato ad Asiago. Abitava da moltissimi anni in via Valgiardini, in una casa accanto a quella di Mario Rigoni Stern. Erano grandi amici ed entrambi avevano a cuore il mondo contadino e la sua humilitas. «Ghe rivarem a baita?» è il grande interrogativo, ancora una volta dialettale, che scandisce Il sergente della neve. E quella baita alpina non era solo un luogo fisico. Era soprattutto un luogo spirituale, un simbolo di identità e di umanità, al quale aggrapparsi per non lasciarsi sopraffare dall’orrore della guerra. Anche per Olmi il nebbioso paesaggio della cascina lombarda dell’Albero degli zoccoli era una metafora di resistenza, un baluardo di valori tolstojani. Ora che sono entrambi arrivati a baita, a noi resta la lezione di questi due grandi amici dell’Altipiano, che non si sono mai stancati di ricordarci che per il nostro viaggio non possiamo sottrarci alla scelta di una meta.

Franco Brevini